TÈ ALLE MICROPLASTICHE

Miliardi di micro e nanoparticelle di plastica in una tazza di tè (e poi nel nostro stomaco).
Possibile?
Sì, se utilizziamo una bustina fatta in materiale plastico.
Ha fatto scalpore lo studio realizzato alla McGill University di Montreal (Canada) pubblicato in settembre 2019: i chimici canadesi hanno scoperto che quando una bustina da tè in materiale plastico, ad esempio nylon o PET, viene immersa in acqua bollente rilascia in media 11 miliardi di microparticelle e 3 miliardi di nanoparticelle di plastica; le quali vengono poi ingerite, con conseguenze sconosciute sulla salute.

La plastica, forse non tutti lo sanno, è un componente molto comune dei filtri da tè: alcune bustine, quelle dall’aspetto setoso, sono composte interamente in fibre sintetiche; ma anche quelle che sembrano di carta spesso contengono una certa quantità di polimeri plastici che ne aumentano la resistenza.

Purtroppo però il tè alle microplastiche è solo la punta dell’iceberg: questi minuscoli frammenti di plastica, infatti, sono ormai entrati a far parte della nostra alimentazione.
Dopo l’ingestione possono trasferirsi nei tessuti e, se sono sufficientemente piccoli, penetrare addirittura all’interno delle cellule. Ancora non si conosce esattamente quale impatto abbia tutto questo sull’organismo umano: nel 2017 l’EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare) ha stabilito come priorità l’acquisizione di informazioni sulla presenza e le conseguenze delle microplastiche nell’alimentazione, e le ricerche sono in corso.

Ma cosa sono esattamente le microplastiche? E come si sono introdotte nell’ambiente?

Per microparticella si intende un frammento di dimensioni comprese tra il millimetro e i 100 nanometri, mentre sotto ai 100 nanometri si parla di nanoparticella – per intenderci, 100 nanometri è qualcosa di mille volte più piccolo di un capello!
Queste infinitesime particelle di plastica provengono in buona parte da quei cento milioni di tonnellate di rifiuti che ogni anni vengono dispersi in natura (fermiamoci un attimo a pensare a questo dato: cento milioni di tonnellate all’anno, una quantità impressionante, pari alla massa di 2.000 Titanic!). La plastica, come ben sappiamo, non è biodegradabile; gli agenti atmosferici, l’acqua degli oceani, la fanno a pezzi, la erodono, e vengono così prodotte le micro e nano particelle. Ma queste si creano anche durante il comune utilizzo degli oggetti in plastica: ad esempio il lavaggio degli abiti in fibre sintetiche, o (come abbiamo detto all’inizio) la semplice infusione del tè.

Il risultato è che le microplastiche sono ormai ovunque.
Inizialmente sono state trovate nelle acque degli oceani, dove vengono ingerite dagli organismi marini entrando così nella catena alimentare; ma di seguito studi su studi ne hanno confermato la presenza ovunque siano state cercate: fiumi e laghi in tutto il mondo, il suolo delle più incontaminate montagne svizzere, insetti, acqua del rubinetto e di bottiglia, e infine (c’era da aspettarselo) feci umane.
Si tratta di un problema molto serio la cui unica soluzione è ridurre drasticamente l’uso della plastica e regolamentarne severamente lo smaltimento, a livello globale; una soluzione che devono essere i governi ad adottare, ma in cui anche le abitudini dei singoli cittadini giocano un ruolo importante.

Torniamo quindi all’argomento da cui siamo partiti. Se per la maggior parte non possiamo evitare di ingerire (e respirare) microplastiche, perché aggiungere anche quelle dei filtri da tè? La scelta più salutare e più ecologica – le due cose non possono che andare di pari passo – è scegliere tè e tisane sfusi e adoperare infusori riutilizzabili, le classiche palline o ovetti metallici.
In fin dei conti, anche il portafoglio ringrazia!

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