Secondo alcuni studi scientifici, l’integrazione di vitamina D ad alti dosaggi può proteggere dal diabete e dalle sue complicanze.
La vitamina D è nota per essere necessaria alla mineralizzazione delle ossa, ma i medici stanno sempre più comprendendo che le sue azioni vanno ben al di là dello scheletro. Si è scoperto, infatti, che sono moltissimi i tessuti del corpo sensibili alla vitamina D, e che questa sostanza interviene nella regolazione del sistema immunitario e nella prevenzione di molte patologie. Tra cui il diabete.
Ruolo della vitamina D nel metabolismo degli zuccheri
Il diabete di tipo 2 è una patologia in netto aumento nei Paesi industrializzati. È preceduto da una fase di insulino-resistenza, in cui l’organismo non riesce più a rispondere adeguatamente all’insulina e quindi, per mantenere sotto controllo la glicemia, è costretto a produrne quantità maggiori. Nel tempo le cellule beta del pancreas, responsabili della sintesi di questo ormone, possono gradualmente esaurirsi e quindi non essere più in grado di rispondere alle necessità di insulina dell’organismo. In questo caso il controllo glicemico comincia a peggiorare, fino ad arrivare al prediabete (che viene diagnosticato quando la glicemia è compresa tra 100 e 125 mg/dl a digiuno, oppure tra 140 e 200 mg/dl due ore dopo carico di glucosio) e infine al diabete vero e proprio.
Progredire dall’insulino-resistenza al prediabete e poi al diabete non è però inevitabile. Migliorare l’alimentazione, perdere peso e fare una regolare attività fisica sono interventi che possono arrestare la progressione della malattia in circa un caso su sette. E, secondo gli ultimi studi, anche la vitamina D può aiutare.
Ma cosa c’entra questa vitamina con il controllo degli zuccheri?
Molto, come i medici stanno scoprendo.
Prima di tutto la vitamina D migliora l’insulino-resistenza, perché stimola le cellule su cui agisce a produrre il recettore per l’insulina: è solo dopo essersi legata al proprio recettore cellulare che l’insulina può esercitare la sua attività di regolazione della glicemia. La vitamina D agisce poi specificamente sulle cellule beta del pancreas, promuovendone la crescita e la funzionalità, tra cui anche la secrezione di insulina.
Oltre a queste azioni dirette, la vitamina D può migliorare la situazione nei casi di diabete o prediabete anche in modi più indiretti. Questa vitamina infatti modula il sistema immunitario attenuando l’infiammazione cronica. Ed è proprio lo stato infiammatorio, frequentemente osservato nei soggetti obesi e insulino-resistenti, uno dei responsabili del danneggiamento del pancreas che porta all’esordio e poi al peggioramento della malattia diabetica.
Infine la vitamina D regola i livelli di calcio dell’organismo, e il calcio ha un ruolo chiave nei meccanismi di secrezione e azione dell’insulina.
I molteplici meccanismi attraverso cui la vitamina D interviene nel metabolismo degli zuccheri spiegano perché, negli animali da laboratorio, una delle prime conseguenze della carenza di vitamina D è proprio la disfunzione delle cellule beta del pancreas e l’intolleranza al glucosio (un altro modo di definire il prediabete). Se agli animali viene somministrata vitamina D il loro livello di infiammazione si riduce, così come la resistenza all’insulina.
E gli esseri umani?

Vitamina D e diabete: studi clinici
Diversi studi osservazionali hanno notato che il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 aumenta al diminuire dei livelli di vitamina D nel sangue. Ma anche senza arrivare al diabete vero e proprio, più bassa è la vitamina D e peggiore è il controllo glicemico. Ad esempio in uno studio su donne in menopausa, in sovrappeso o obese ma senza diabete, bassi livelli di vitamina D sono risultati correlati a una maggiore resistenza all’insulina e a livelli più elevati di glicemia e insulinemia. Da questo studio emerge che il livello di soglia sotto cui il metabolismo degli zuccheri comincia a peggiorare è di 26 ng/ml (valore che secondo l’AIFA è comunque all’interno dell’intervallo ottimale di 20-40 ng/ml).
E allora, integrare la vitamina D può capovolgere la situazione, migliorare il controllo glicemico e aiutare a prevenire il diabete?
La risposta arriva da un lavoro pubblicato di recente sulla prestigiosa rivista internazionale Annals of Internal Medicine. Gli autori hanno accorpato e rianalizzato da principio i dati di tre precedenti studi in cui un totale di oltre 4.000 persone prediabetiche avevano assunto, proprio allo scopo di prevenire la progressione della malattia, vitamina D oppure placebo.
I risultati: nel corso di tre anni, il 25% delle persone che assumevano placebo e il 22,7% di quelle che assumevano vitamina D hanno sviluppato diabete. Si tratta di una differenza piuttosto piccola (gli autori calcolano che la vitamina D ha prevenuto il diabete in una persona ogni 30 trattate) ma statisticamente significativa, cioè non imputabile al caso. Inoltre l’assunzione della vitamina ha aumentato la probabilità che la regolazione del glucosio tornasse normale, cioè che la persona non fosse più prediabetica.
Uno dei motivi per cui l’integrazione di vitamina D può non essere efficace è che il dosaggio utilizzato non basti per far sufficientemente aumentare i livelli della vitamina nel corpo. Verificando questo fattore gli autori infatti hanno scoperto che, se l’integrazione era sufficiente per mantenere i valori ematici di vitamina D superiori a 50 ng/ml, l’effetto di prevenzione era molto maggiore.
Un altro elemento che può fare la differenza è la capacità dell’organismo di trasformare la vitamina D assunta con gli integratori nella sua forma biologicamente attiva. Devono infatti avvenire due diverse reazioni chimiche, una a livello del fegato e una dei reni, perché ciò accada. E poiché nelle persone obese queste trasformazioni avvengono con più difficoltà, l’integrazione di vitamina D risulta più efficace nei non obesi.
In sintesi: se soffri di prediabete la vitamina D (insieme ai doverosi interventi sull’alimentazione e lo stile di vita) può aiutarti a prevenire la comparsa di diabete e persino a tornare indietro a una normale regolazione del glucosio, soprattutto se il dosaggio è sufficiente a ottenere livelli ematici superiori a 50 ng/ml e se non sei obeso.
E se già soffri di diabete?
La vitamina D può essere d’aiuto anche in caso di diabete già conclamato. Nei diabetici infatti, secondo altri studi, bassi livelli ematici di vitamina D aumentano il rischio di complicanze a livello della microcircolazione e anche di sviluppare malattie cardiovascolari. Mentre un’integrazione di vitamina D ad elevati dosaggi (almeno 1000 UI al giorno) aiuta a migliorare il controllo glicemico e a ridurre il rischio cardiovascolare.
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