COS’È LO STRESS

Lo stress è una delle grandi minacce per la salute che ci troviamo ad affrontare al giorno d’oggi. Una parola che ognuno di noi sente e utilizza ogni giorno, ma di cui forse non conosciamo a fondo il significato.

Cos’è, in senso scientifico, lo stress? Cosa accade nel nostro corpo quando siamo stressati? Perché lo stress ci fa male? Perché può anche farci bene? Nel seguito cerchiamo di rispondere a queste e ad altre domande.

I pionieri dello stress –
La reazione di attacco o fuga di Cannon e la sindrome generale di adattamento di Selye

Lo studio scientifico dello stress inizia negli anni ’30 con il lavoro di Walter Cannon. Questo fisiologo statunitense, da alcuni considerato il padre della medicina psicosomatica, identifica negli animali quella che lui stesso battezza “reazione di attacco o fuga” (fight or flight) e trova che è dovuta all’azione di due ormoni secreti dalle ghiandole surrenali: adrenalina e noradrenalina. In un libro del 1932 dal suggestivo titolo di La saggezza del corpo, Cannon introduce il concetto, tuttora considerato valido, che la risposta di stress (che egli chiama anche “sindrome di emergenza”) si attivi di fronte a una minaccia all’omeostasi dell’organismo e abbia l’obiettivo di ristabilire l’equilibrio dell’ambiente interno. Riconosce due tipi di stimoli in grado di attivarla: una condizione di pericolo e l’esposizione a condizioni ambientali estreme.

La reazione di attacco o fuga rappresenta però solo una parte della risposta di stress. Questo comincia a chiarirsi grazie al lavoro del medico austriaco Hans Selye, che forse più di chiunque altro ha dedicato la propria vita alla ricerca e alla divulgazione nel campo dello stress.

Intorno al 1936 Selye, durante le sue ricerche volte a isolare un nuovo ormone sessuale, si accorse che gli animali a cui inoculava estratti non purificati di tessuto ovarico reagivano con parecchi caratteristici segni patologici disseminati nell’intero organismo, tra cui l’ingrossamento delle ghiandole surrenali, l’atrofia del timo e dei linfonodi, e la comparsa di ulcere gastriche. Osservò poi che questo quadro si manifestava in modo identico di fronte a stimoli dannosi del tutto diversi tra loro: freddo o caldo estremi, lesioni chirurgiche, eccessivo sforzo muscolare, intossicazione dovuta a dosi subletali delle più disparate sostanze chimiche. Non si trattava dunque dell’effetto specifico degli estratti ovarici, del freddo o degli sforzi fisici, bensì di una reazione dell’organismo al fatto in sé di essere danneggiato.

E la reazione tendeva fondamentalmente all’adattamento. Infatti, se si continuava a somministrare lo stimolo dannoso in dose più ridotta, nel giro di qualche tempo l’animale sviluppava resistenza e l’aspetto e il funzionamento del suo organismo tornavano praticamente normali. Salvo che, continuando ancora, dopo uno-tre mesi la resistenza si esauriva, si ripresentavano sintomi simili a quelli iniziali, e questa volta l’esito era fatale.

Seguendo le orme di Cannon, Selye interpretò questo processo come uno sforzo generalizzato, da parte dell’organismo, di adattarsi a condizioni esterne nuove e difficili (che nel caso si arrivi alla fase di esaurimento, naturalmente, fallisce). E dunque lo battezzò “sindrome generale di adattamento”.

La sindrome generale di adattamento ha diversi aspetti in comune con quella che oggi chiamiamo risposta di stress, e la cui comprensione arrivò gradualmente a partire dagli anni ’50 grazie agli studi dello stesso Selye e di molti altri ricercatori. Leggendo la prima pubblicazione in cui Selye descrive la sindrome generale di adattamento (un brevissimo articolo apparso su Nature nel 1936) possiamo individuare alcuni concetti che sono tuttora alla base della nostra comprensione dello stress, anche se con alcune modifiche:

  • Fattori stressogeni di natura molto diversa attivano una risposta che ha alcune caratteristiche fisse, in particolare l’iperproduzione di cortisolo. Altri aspetti e dettagli della reazione però dipendono dal tipo specifico di stress che è all’opera. Ad esempio studi successivi mostrarono che i topi da laboratorio producono livelli simili di cortisolo sia quando vengono tenuti immobilizzati per due ore che quando subiscono uno shock emorragico, ma nel primo caso vengono rilasciate anche grandi quantità di adrenalina e noradrenalina, mentre nel secondo caso no.

  • La risposta di stress interessa l’intero organismo.

  • La risposta di stress mira a mettere l’organismo nelle condizioni migliori per affrontare le condizioni avverse che lo minacciano, quindi nasce con un valore adattativo.

  • Può però produrre anche importanti esiti negativi, soprattutto quando si prolunga troppo nel tempo.

Va inoltre osservato che, mentre gli studi iniziali di Selye ignoravano completamente gli aspetti emotivi e psicologici dello stress, è proprio su questi (e dunque sul collegamento mente-corpo, specialmente in relazione allo sviluppo di malattie) che la ricerca scientifica si è via via sempre più focalizzata.

Cosa accade nel nostro corpo quando siamo stressati?

Vediamo allora cosa sappiamo oggi dei meccanismi biologici che sono alla base della risposta di stress.

La percezione di un fattore stressogeno attiva rapidamente una specifica area del nostro cervello denominata ipotalamo. Dall’ipotalamo partono, attraverso due vie distinte, segnali diretti verso le ghiandole surrenali, le quali produrranno i due principali ormoni dello stress: adrenalina (e noradrenalina) e cortisolo.

La prima via che collega l’ipotalamo alle ghiandole surrenali sono i nervi del sistema nervoso autonomo, ossia quella parte del sistema nervoso che regola le funzioni involontarie come la respirazione, la digestione e il battito cardiaco. E in particolare il ramo simpatico del sistema nervoso autonomo, che si attiva appunto in condizioni di stress – mentre ricordiamo che l’altro ramo, quello parasimpatico, si attiva in condizioni di rilassamento.

stress

La conseguenza dell’attivazione del simpatico è il rilascio nel sangue di adrenalina e noradrenalina, due ormoni molto simili che causano una forte reazione di allarme: il cuore batte più velocemente, la pressione sanguigna aumenta, le pupille si dilatano, i bronchi si aprono, la digestione si blocca, il sangue affluisce ai muscoli, il tutto accompagnato da una forte sensazione emotiva di tensione, ansia, paura o ira. Tutti questi cambiamenti sono funzionali a focalizzare l’attenzione sull’emergenza in corso e a preparare il corpo ad uno sforzo fisico intenso: si tratta precisamente della reazione di attacco o fuga individuata da Cannon. Poiché gli impulsi nervosi viaggiano in modo estremamente rapido, questa prima fase della risposta di stress è pressoché immediata.

In parallelo, ma più lentamente, si attiva anche la seconda via che collega l’ipotalamo alle ghiandole surrenali e che passa attraverso un’altra ghiandola fondamentale, posta nella scatola cranica: l’ipofisi. L’ipotalamo produce l’ormone CRH (Corticotropin-Releasing Hormone), il quale stimola l’ipofisi a rilasciare ACTH (Adrenocorticotropic Hormone), e questo a sua volta agisce sulle ghiandole surrenali inducendo la produzione di cortisolo. Questo ormone, in effetti, viene prodotto normalmente ogni giorno secondo un ben preciso ritmo circadiano, ma in condizioni di stress i suoi livelli si moltiplicano.

Il cortisolo influenza pressoché ogni funzione corporea, ma in relazione allo stress il suo compito principale è quello di immettere in circolo glucosio e acidi grassi: i substrati essenziali per produrre l’energia necessaria ad affrontare lo stress. Questa via di attivazione della risposta di stress viene chiamata, dai principali organi coinvolti, asse ipotalamo-ipofisi-surrene.

Nel complesso l’attivazione delle due vie dello stress influenza pressoché tutte le funzioni del corpo, e in particolare è responsabile dei segni osservati da Selye. Le ghiandole surrenali si ingrossano per far fronte all’aumentata richiesta di produzione ormonale, il tessuto linfatico si atrofizza a causa dell’effetto inibitorio del cortisolo sul sistema immunitario, mentre l’attivazione del sistema nervoso simpatico (e la contemporanea inibizione del parasimpatico) è responsabile delle ulcere gastriche.

Stress cronico, distress, eustress

Come abbiamo visto, l’obiettivo della risposta di stress è quello di mettere l’organismo in grado di rispondere a una sfida. La sfida però dovrebbe durare per un periodo di tempo limitato, dopodiché la situazione dovrebbe tornare alla normalità e la risposta di stress spegnersi. Il nostro sistema di stress è progettato per rispondere a fattori stressanti acuti, non per funzionare continuamente. Se resta costantemente attivato, senza adeguati periodi di rilassamento a bilanciarlo, può alterare in profondità l’equilibrio dell’intero organismo.

Questo è ciò che accade nello stress cronico, purtroppo così comune al giorno d’oggi. Le reazioni del corpo, in questo caso, non sono più adattative, bensì disadattative. L’azione continua degli ormoni dello stress può causare molti disturbi e contribuire allo sviluppo di patologie fisiche e mentali: dalla depressione alle malattie infiammatorie intestinali, dalle patologie cardiovascolari al diabete (vedi tutti gli effetti dello stress sul corpo).

Ma, adattando un vecchio adagio, potremmo dire che non tutto lo stress vien per nuocere. Presto i ricercatori si resero conto che accanto a uno stress negativo, che mette a rischio la nostra salute, esiste anche una forma positiva di stress, che invece ci fa bene. Definirono il primo distress, il secondo eustress.

Ma cos’è esattamente lo stress positivo? Nei lavori scientifici il termine eustress viene utilizzato con due significati diversi. Una prima accezione fa riferimento alla “dose” di stress: mentre uno stress troppo intenso o troppo prolungato danneggia l’organismo, uno stress moderato stimola i sistemi di difesa del corpo aumentando in definitiva la sua resistenza allo stress stesso, ossia la sua capacità di mantenere l’omeostasi di fronte alle inevitabili sfide della vita. In questo senso sia troppo stress che troppo poco sono negativi per la salute.

Oltre che in senso fisiologico, questo vale anche in senso psicologico. Pensiamo ad esempio a un disturbo d’ansia: se la persona che ne soffre evita del tutto qualsiasi situazione ansiogena, la sua ansia finirà solo per peggiorare. Esporsi a situazioni che provocano un’ansia moderata è invece un modo per disinnescarla. L’esito finale è un aumento della tolleranza nei confronti dello stress, e dunque possiamo parlare di eustress.

Osserviamo che il concetto di “dose di stress” ha un aspetto fortemente soggettivo. A seconda di molti fattori individuali – temperamento, esperienze di vita, convinzioni – il medesimo evento può essere valutato in modo più o meno negativo e quindi comportare una dose maggiore o minore di stress.

La seconda accezione di eustress è prettamente psicologica e fa riferimento al vissuto interiore dell’evento stressante. Se una situazione oggettivamente impegnativa viene vissuta in modo positivo, ad esempio come una sfida piuttosto che come una minaccia, la risposta anche fisiologica dell’organismo sarà diversa. Gli studi della psicologa Marianne Frankenhaeuser sullo stress lavorativo hanno mostrato che un grande sforzo vissuto senza gioia comporta elevati livelli sia di adrenalina che di cortisolo, mentre se lo stesso sforzo viene vissuto con gioia si verifica un aumento di adrenalina ma non di cortisolo. In quest’ultimo caso è lecito supporre che la risposta di stress sia molto meno dannosa per l’organismo, anzi forse che abbia solo l’effetto positivo di stimolare la focalizzazione e l’energia necessarie per svolgere il compito nel modo migliore. Anche in questo caso si può quindi parlare di eustress.

Lo stesso Selye nei suoi ultimi lavori mise una grande enfasi sulla distinzione tra distress ed eustress. Concludiamo quindi l’articolo con una sua citazione:

«La completa libertà dallo stress è la morte. Contrariamente a quanto si pensa di solito, noi non dobbiamo, e in effetti non possiamo, evitare lo stress, ma possiamo incontrarlo in modo efficace, e trarne vantaggio»

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Fonti scientifiche

Lu, S., Wei, F., & Li, G. (2021). The evolution of the concept of stress and the framework of the stress system. Cell stress5(6), 76. https://doi.org/10.15698/cst2021.06.250

Selye, H. (1936). A syndrome produced by diverse nocuous agents. Nature138(3479), 32-32. https://doi.org/10.1176/jnp.10.2.230a

McCarty, R. (2016). The alarm phase and the general adaptation syndrome: two aspects of Selye’s inconsistent legacy. In Stress: Concepts, cognition, emotion, and behavior (pp. 13-19). Academic Press. https://doi.org/10.1016/B978-0-12-800951-2.00002-9

LaDou, J. (2003). International occupational health. International journal of hygiene and environmental health206(4-5), 303-313. https://doi.org/10.1016/B0-08-043076-7/03845-6

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