Scioglimento dei ghiacciai, aumento del livello degli oceani, fenomeni meteorologici estremi. Ma la crisi climatica ha un’altra conseguenza, di cui pochi sono a conoscenza: sta riducendo sempre più il profilo nutrizionale degli alimenti vegetali.
Il principale responsabile è l’aumento dei livelli di anidride carbonica nell’atmosfera. Dalle 280 ppm (parti per milione) dell’era preindustriale, nel 2023 la CO2 atmosferica ha raggiunto e superato le 420 ppm (dati osservatorio Mauna Loa).
L’anidride carbonica è per i vegetali un nutriente indispensabile. È proprio questa sostanza, infatti, che le piante, sfruttando l’energia fornita dal sole, trasformano nello zucchero di cui hanno bisogno per sostenere la propria vita. Anidride carbonica più acqua crea glucosio più ossigeno: è la fotosintesi clorofilliana.
Si potrebbe allora pensare che più anidride carbonica c’è nell’aria e meglio è per le piante. E in un certo senso è proprio così: livelli maggiori di CO2 hanno infatti un effetto “fertilizzante”, aumentando il tasso di crescita dei vegetali. Ma il problema è che l’assorbimento delle altre sostanze nutritive dal terreno (primo l’azoto, base delle proteine, e poi tutti i minerali) non aumenta in proporzione, e questo crea un effetto di diluizione: ovvero i tessuti vegetali, cresciuti troppo e troppo in fretta, saranno sempre più ricchi di zucchero (per via dell’aumentata fotosintesi) e sempre più poveri di proteine e minerali.
Questo effetto paradossale fu inizialmente osservato con le alghe. Facendo esperimenti in laboratorio i biologi si resero conto che, fornendo alle alghe più luce, queste crescevano di più e più velocemente. Ci si aspettava quindi che lo zooplancton (i microscopici animali che vivono sospesi nelle acque nutrendosi di alghe), avendo più cibo a disposizione, prosperasse. E invece no: lo zooplancton faticava a sopravvivere. Cosa stava succedendo?
Il problema era che le alghe, crescendo troppo e troppo rapidamente, finivano per contenere una concentrazione inferiore di sostanze nutritive: e lo zooplancton, pur alimentandosi a sazietà, non riusciva a ricavare tutti i nutrienti di cui aveva bisogno. In pratica le alghe erano diventate cibo spazzatura. Una situazione che ricorda in modo inquietante quello che accade oggigiorno con l’alimentazione di tipo “americano” che si sta affermando in tutto il mondo: mangiamo troppo, eppure soffriamo di carenze di vitamine e minerali perché gli alimenti di cui ci nutriamo forniscono molte calorie e poche vere sostanze nutritive.
Quello che era stato osservato per le alghe troppo illuminate vale anche per i vegetali terrestri sottoposti a livelli eccessivi di CO2. A sospettarlo per la prima volta fu, già vent’anni fa, il biologo e matematico Irakli Loladze. Dopo anni passati ad analizzare tutti i dati scientifici disponibili, nel 2014 Loladze pubblicò un importante lavoro in cui dimostrava che l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera aveva già causato una riduzione, piccola ma osservabile, nei livelli di tutti i 25 minerali misurati (tra cui ferro, magnesio, zinco, calcio, potassio), in tutti i tessuti delle piante (compresi i semi dei cereali) e indipendentemente dal luogo di coltivazione. Parallelamente, c’era stato un notevole aumento nel contenuto di amido e zuccheri semplici e una corrispondente riduzione nelle proteine. E nel futuro, a meno che non si riesca ad arginare la crisi climatica, questi effetti sugli alimenti sono destinati ad aumentare.
In un recente lavoro, inoltre, Loladze dimostra che l’aumento della CO2 atmosferica ha ridotto anche il contenuto di carotenoidi dei vegetali. I carotenoidi sono i precursori della vitamina A, hanno azione antiossidante e in generale sono essenziali per la salute umana. In questo caso il motivo è duplice: oltre a un effetto di diluizione simile a quanto osservato per i minerali, i ricercatori hanno osservato anche che in presenza di elevati livelli di CO2 le piante producono meno carotenoidi.

Non solo crisi climatica: altri fattori che riducono le qualità nutrizionali degli alimenti
Negli ultimi decenni stiamo assistendo a un generalizzato calo di qualità dei cibi di origine vegetale. Oltre alla crisi climatica ci sono altri fattori che concorrono a rendere gli alimenti meno nutrienti. Secondo gli esperti, uno dei principali è la selezione di varietà più redditizie. Gli agronomi si sono sempre concentrati sull’aumentare la resa delle colture, la loro resistenza alle malattie e ai parassiti, la facilità di raccolta e di lavorazione, la conservabilità, eccetera, ma non si sono mai preoccupati delle proprietà nutritive: anzi, in questo modo spesso hanno inavvertitamente selezionato varietà meno nutrienti.
Come abbiamo visto, infatti, una pianta che cresce più rapidamente o raggiunge dimensioni maggiori spesso non riesce ad assorbire una maggior quantità di sostanze nutritive dal suolo, e quindi i nutrienti risultano diluiti. Oppure un vegetale può essere meno gradito agli erbivori o agli insetti proprio perché è meno nutriente (anche per gli esseri umani). Un altro esempio è quello del mais, le cui proteine sono praticamente prive degli aminoacidi lisina e triptofano, il che ne abbassa la qualità. Varietà che ne contengono di più, e che quindi sono migliori dal punto di vista nutrizionale, hanno semi più morbidi che facilmente durante la raccolta si danneggiano, e inoltre sono maggiormente soggette a malattie e hanno una resa inferiore, e quindi dal punto di vista economico non sono interessanti.
Anche alcune pratiche tipiche dell’agricoltura intensiva e industrializzata contribuiscono a ridurre la qualità nutrizionale delle colture. Ad esempio è stato osservato che l’uso dei fertilizzanti chimici riduce il contenuto di vitamina C di molti frutti e ortaggi, e diminuisce il valore biologico delle proteine dei cereali. Arature eccessive, una semplificazione esagerata delle rotazioni colturali o l’abbandono dei concimi organici favoriscono l’erosione e l’impoverimento del suolo, che inevitabilmente si traduce in una ridotta concentrazione di minerali e oligoelementi nelle colture.
Non dimentichiamo poi che i frutti e gli ortaggi che arrivano sui banchi dei supermercati vengono spesso raccolti ancora acerbi e conservati a lungo: entrambe pratiche che li impoveriscono di vitamine.
Il risultato è che la qualità della nostra alimentazione (e in particolare dei cibi di origine vegetale, che sono la base di un’alimentazione sana) diminuisce sempre di più. È vero, possiamo acquistare frutta e verdura biologiche e a chilometri zero, o magari coltivarle nel nostro orto, ma l’effetto sugli alimenti di alcuni fattori come la crisi climatica non è eliminabile.
È vero che le malattie dovute a gravi carenze alimentari (scorbuto, pellagra, ecc.) qui da noi non esistono praticamente più, ma questo non significa che assumiamo una quantità ottimale di micronutrienti. Oltre alle carenze conclamate, infatti, esistono quelle che vengono chiamate carenze marginali: non così gravi da portare a malattie acute, ma sufficienti affinché l’organismo non funzioni al suo meglio. Nel tempo le carenze marginali di vitamine e minerali possono alterare il buon funzionamento di tutti gli organi e apparati, accelerando il processo di invecchiamento e favorendo le patologie croniche.
E allora, cosa possiamo fare per assicurare al nostro organismo un sufficiente apporto di tutti i micronutrienti di cui ha bisogno?
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